Impossibilmente amata

“..quell’odio ha fatto perdere significato alla persona che è riuscita ad amare il mio essere impossibilmente amata…”

Inizio con questa bellissima frase una riflessione del mio blog. Queste parole prese da un ampio e magnifico contesto descrittivo di un’amore adolescenziale le ritengo davvero stupende. Sono tratte da un componimento che probabilmente mi fu dedicato. Un tentativo di sfogo esposto su facebook per me. Sono passati quasi due anni da quando la piccola scrittrice raccontò quello che più che una storia d’amore era una favola. Una principessa che rifletteva sul suo io, sui suoi errori e su quello che sentiva in cuore. Tra le tante bellissime parole ho scelto queste. A voi magari non diranno nulla, ma a me danno una profonda sensazione fatta di gioia e dolore. La mia piccola Francesca in quella nota esternava tutto l’amore per me, dall’inizio della nostra storia sino al giorno del componimento. Sono le più belle parole che un uomo come me possa sentirsi dire. Parole sincere e piene di emozioni. Ogni tanto mi richiedo dove è finita quella Francesca la. Quella Francesca che mi aveva fatto innamorare con la sua apparente ingenuità. Comunque, tornando alla frase, esplicitamente parla di quell’odio che, come sempre, si era imposta di provare. Cancellandomi e buttandomi non comprendendo le mie scelte. Un odio che, come sempre, aveva preso il posto dell’amore distruggendomi in un istante, con la consapevolezza che l’amore che ho provato per lei nessuno sarebbe riuscito mai a darle.

E ora… la speranza, irrazionale, di poter ancora leggere composizioni come quelle… Salvate in un file, ma soprattutto in un angolo del mio cuore.

Cuccioli

“Cucciolo dimmi cos’hai perché se piangi sto peggio di te e i tuoi problemi la sai sono i miei perché se piangi vuol dire che forse non piangi per me…”
Troppo belle queste parole di Masini… Lui si che è un poeta contemporaneo… e so cosa deve aver passato scrivendo questa canzone, forse perchè queste cose le ho passate anche io.
E’ brutto vedere la persona che ami che soffre, soprattutto se non soffre per te… ed è ancor più duro starle accanto. Solo una cosa può far farti certe cose. Questa cosa si chiama Amore… L’amore per una persona ti porta a gioire nel vederla felice e soffrire nel vederla triste. Dedicai questa canzone alla persona che amavo, perchè nonostante qualcosa tra di noi era scattato, non riuscivo ad avere il suo amore. Sapevo che il suo cuore era grande e che il suo amore prima o poi per me sarebbe arrivato, ma vederla distante e triste era come un pugnalata per me. Era difficile coccolarla, quando lei avrebbe voluto le coccole di qualcun altro. Era un’impresa darle le mie attenzioni, visto che lei non desiderava certo le mie. Anche i chilometri sopra chilometri fatti per vederla, passavano inosservati. Ma le mie gambe non sentivano stanchezza… Non mi stancavo di amarla, sperando che un giorno lei spalancasse gli occhi, o meglio il suo cuore. Come dice Paulo Coelho “Quando la porta della felicità si chiude, un’altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi”. Effettivamente lei continuava a fissare quella porta chiusa, senza guardare quella che io le stavo spalancando. Ma non demordevo. I miei sforzi, le mie parole, le mie sorprese, sarebbero poi stati premiati. Me lo sentivo che quel destino che ci aveva fatto incontrare avrebbe poi voltato a mio favore. Forse dovevo meritarmi il suo amore o forse dovevo guadagnarmelo per poi godermelo ancor di più. Lei poi era veramente un cucciolo. Un cucciolo da accudire, proteggere, coccolare e far crescere. L’impresa era ardua, ma non di certo impossibile. Avrei sorpassato ogni difficoltà pensando a quei due occhioni, avrei vinto ogni timore baciando quelle labbra, avrei sconfitto ogni paura abbracciandola a me. Aveva dentro di se una gioia immensa ed io gioivo per questo… Cosa non avrei fatto per quel cucciolo!

Peccato che i cuccioli prima o poi crescono, e… non sono più cuccioli. Ma voglio comunque portare il ricordo di quel cucciolo, che mi stringeva forte nei sottoportici mentre fuori pioveva. Quel cucciolo sognatore, dolce e coccolo. Quel cucciolo amante delle foto e mai stanco di amarmi. Quel cucciolo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me e che io avrei voluto seguire in ogni momento della mia vita. Quel cucciolo che avrebbe dato l’anima per stare ancora qualche minuto con me in quelle sere d’estate. Quel cucciolo con cui osservai per la prima volta le stelle, dopo aver fatto l’amore. Quel cucciolo che non vedeva l’ora di fare la nanna con me. Quel cucciolo che viveva per il mio amore e niente più. Quel cucciolo da cui magari avrei voluto un cucciolo. Quel cucciolo curioso e orgy (questa parola non la troverete mai in alcun vocabolario, e, anche se non sembra, non vuol dire nulla di volgare… anzi). Quel cucciolo che possedeva una passione immensa e che contava i minuti per vedermi. Un cucciolo insomma…

Spero che ognuno di voi pochi, che di tanto in tanto legge il mio blog, possa avere il suo cucciolo. Vi auguro di tutto cuore di poter assaporare le stesse gioie che io trascorsi con il mio.

Primo scritto

Non ricordo di preciso quando è partita in me la voglia di scrivere, però ricordo perfettamente il primo racconto che scrissi. Avevo 10/11 anni e facevo la quinta elementare. Per i primi anni di scuola avevo avuto una maestra “vecchia guardia”, molto precisa e severa. Ricordo benissimo che anche nella durata della ricreazione era molto fiscale. Anche quando arrivava la bella stagione io ed i miei compagni ci trovevamo a guardare con invidia gli alunni delle altre classi che continuavano a giocare sul prato anche a “campanella suonata”. Questa maestra ci aveva accompagnato però solo fino alla quarta, andandosene poi in pensione e lasciandoci per l’ultimo anno delle elementari ad un’altra. E’ passato un bel po’ di tempo, ma l’immagine dell’ingresso della nuova maestra in classe è nitida. Si chiamava (o meglio si chiama) Donatella, ed era molto più giovane della precedente. Se non sbaglio aveva 27 anni. Ricordo l’età in quanto ci fece scrivere sul libro del “Piccolo Principe”, che leggevamo in classe, di rileggerlo a 27 anni. Era una donna buonissima. L’unica cosa negativa che, essendo bambino, notavo era il fatto che fumava. Beh, da li a qualche anno avrei iniziato pure io a drogarmi di nicotina… La cosa più importante e significativa che quella donna mi ha trasmesso è stato l’imparare ad imprigionare le emozioni e le sensazioni su un foglio di carta. Era primavera e con tutta la classe ci trovevamo nel giardino interno della scuola. L’edificio era molto vicino al mare e nelle adiacenze non vi erano tanti complessi. Ci disse di chiudere gli occhi e cercare di trascrivere sul foglio le sensazioni provate con le rimanenti percezioni sensoriali. Sono passati quasi 20 anni, ma vi giuro che le mie narici respirano ancora quell’aria fresca e salmastra, la mia pelle sente ancora sul viso il calore del sole, sedato dalla brezza marina; le mie orecchie odono ancora il fruscio delle foglie altalenato dal canto dei gabbiani, melodicamente accompagnato da un sottofondo fatto di mare sugli scogli. Non ricordo sicuramente cosa scrissi, ma se ora ogni tanto ci provo è grazie a lei. Nel suo progetto di vederci scrittori, ci fece comporre un piccolo racconto fantastico. Un viaggio in una località a scelta era il tema da seguire. Io scelsi Parigi… Eh si, è da quando ho 10 anni che sogno di andare a Parigi. Conosco perfettamente i monumenti e le vie principali anche se purtroppo solo su carta… Beh, quello fu il mio primo “scritto”. Sembra inverosimile, ma avevo rimosso il fatto che il narrato parlava di una storia d’amore tra un mio “io” ed una parigina di nome Francoise…

Come è strano il mondo…

Perchè sto male?

Sto male perchè non posso incontrarti
Sto male perchè non posso parlarti
Sto male perchè non posso coccolarti
Sto male perchè non posso abbracciarti
Sto male perchè non posso accarezzare il tuo viso
Sto male perchè non posso baciarti
Sto male perchè non posso consolarti
Sto male perchè non posso aiutarti
Sto male perchè non posso toccarti
Sto male perchè non potrò più dormire con te
Sto male perchè non farò più foto con te
Sto male perchè non ti ho mai detto che volevo sposarti
Sto male perchè non avrò più la tua dolcezza, le tue coccole
Sto male perchè non potrò più fare l’amore con te
Sto male perchè non posso cambiare il passato
Sto male perchè sono impotente di fronte a tutta questa situazione
Sto male perchè ho fallito la mia missione
Sto male per tutto il male che ti ho fatto
Sto male per tutto quello che avrei dovuto fare e non ho fatto
Sto male perchè sono l’artefice del mio dolore
Sto male perchè non potrò più amarti e non riuscirò mai ad odiarti
Sto male perchè Ti Amo

Cosa hai combinato stavolta?

Era la fine di aprile. Quel giorno il sole splendeva alto nel cielo riscaldando l’aria ed esaltando i profumi di quella primavera. La bella stagione finalmente era arrivata ed ogni occasione era buona per uscire dalle mura di quell’ufficio. Avevo finito di lavorare, ma non so per quale motivo non me ne ero andato. Ero inconsapevole di quello che il destino aveva in riservo per me e passavo da una stanza all’altra chiaccherando del più e del meno con i colleghi che si trovavano lì. Ad un certo punto il mio sguardo passò in sala d’attesa. Vidi lei. Il viso mi era famigliare, anche se erano passati ben 3 anni da quando i nostri occhi si erano incrociati in quei corridoi. Era cresciuta, ma conservava ancora quel viso cucciolo. I suoi occhi emanavano la stessa lucentezza e mi davano una strana sensazione. Non sapevo che fare. Non potevo farmi sfuggire l’occasione di conoscerla e quindi mi fiondavi ad aprire la porta che mi separava da quella angelica visione. Per mia fortuna in sala d’attesa vi era un distributore di bevande e quindi quale miglior scusa che prendere una bottiglietta d’acqua? Facendo finta di nulla mi avvicinai. Inserendo la monetina nel distributore continuavo a guardarla nel dubbio che non fosse lei. Avevo un’enorme paura di sbagliarmi! Lei continuava a stare seduta inibita dai miei occhi bramosi di conoscerla. Non sapevo che dire, ma volevo trovare una frase per improntare un approccio. “Cosa hai combinato stavolta?” dissi io ripensando sin da subito alle parole che avevo scelto. “Cosa?” disse lei quasi infastidita dalla domanda. “Volevo sapere come mai sei qui…” aggiunsi io ritrattando quello che avevo detto. Mi sentivo molto in imbarazzo ma allo stesso tempo soddisfatto di aver almeno ricevuto una risposta. Beh, si, poteva trattarsi di una risposta data per educazione ma avevo una strana sensazione. Sentivo circolare dentro le mie vene un qualcosa. Cominciammo così a parlare. Pochi minuti che sembravano ore. Mi spiegò cosa era successo e come mai si trovava lì. Non aveva importanza… le mie orecchie quasi non udivano, frastornate come quando un botto ti scoppia vicino. La salutai dandole confidenza, come se la conoscessi da molto, moltissimo tempo. Con parole quasi paternali poi me ne andai. Quell’incontro mi aveva segnato e non facevo altro che pensare a quegli istanti, seppur insignificanti, che avevo passato con lei. Quel pomeriggio lo passai passeggiando per il centro, osservando in modo differente qualsiasi cosa incontrassi. Anche quella fontana, che potevo aver visto centinaia, migliaia di volte era strana. Continuando il cammino osservavo come i getti d’acqua seguivano in modo armonioso i passi del mio cuore. Arrivai a destinazione. Ero arrivato alla gelateria. Sono un vero goloso e pertanto un gelataio non può che essere un mio amico. Come di consueto cominciammo a parlare delle più disparate cose; tra gli argomenti vi era però anche lei… “Sai, una ragazza che lavora per me è venuta in ufficio da te oggi”, disse il mio amico, esternando qualche preoccupazione per l’evento. “Cosa?!?!” risposi quasi incredulo. Palpitavo di gioia! “Ma chi, o meglio come si chiama questa ragazza?” aggiunsi mangiandomi mezze parole. Il gelataio rispose pronunciando il suo nome ed un sorriso si stampò sul mio viso. Era un sorriso di conferma, di speranza, di prospettiva. “Perchè sorridi?” disse lui guardandomi esterefatto. “Niente” dissi io scendendo dalle nuvole “la ho appena incontrata…”. “Molto bene…” aggiunsi progettando dentro di me come reincontrarla “quindi vuol dire che sai dirmi quando la posso trovare qui in gelateria”. Forse ero stato un po’ troppo esplicito, ma il mio desiderio era irrefrenabile. Volevo proprio rivederla e quella notizia non era altro che un portone enorme che si stava spalancando. “Non ti dirò mai quando la puoi trovare” disse il mio amico, trasmettendo una esplicita ironia dai suoi occhi. “Eddai, su, che ti costa” risposi io, in modo infantile, come quando, da bimbi, la mamma ci nega un capriccio. “No, no, non contare su di me” aggiunse lui prendendo posizione, ma sempre con fare ironico. Ci rinunciai, o meglio feci finta, cambiando discorso e parlando di tutt’altro, anche se era palese che volevo raggiungere il mio scopo. Mi sedetti quindi su una panchina, posta dinanzi alla gelateria, continuando la parte di bimbo cocciuto. Osservavo coppie di adolescenti passeggiare mano nella mano, nello splendore dei loro primi amori. Alla mente saltavano i ricordi più strani del mio passato illudendomi che potevo vivere ancora quelle sensazioni. Ero ignaro di ciò che il destino aveva in serbo per me e che m’avrebbe fatto provare da lì ad un mese. Ero contento. Contento di nulla, ma che stava già significando tutto. Mi alzai e scambiai altre due chiacchere, mentre il mio amico non riusciva a togliersi dal viso un’espressione strana, tipo di uno che te l’ha appena combinata o te la sta per combinare. Non volevo essere pesante e non gli feci nuovamente la domanda, pensando di riproporgliela l’indomani. Semplicemente lo salutai. Stavo allontanandomi quando lui mi richiamò. Mi voltai. “Martedì alle quattro…” disse lui riaprendo quel portone che si era socchiuso. Soltanto con un sorriso ringraziai il per me prezioso gesto di un amico.

Squilla il telefono

E’ da tanto, troppo tempo che non riempio le “pagine” del mio blog. Anzi potrei quasi dire che me ne sono quasi dimenticato. Nel frattempo sono successe molte cose! La vita ci riserva giorno dopo giorno sorprese o risvolti che non avremmo mai lontanamente immaginato. E’ iniziato un anno nuovo un anno che per me segna tantissime cose… Ho deciso quindi di iniziare a scrivere qualcosa collegandomi a quello che è stato il mio ultimo intervento del 2009. Quasi mi vergogno… Cavolo sono passati 4 mesi!!! Effettivamente ricordo che quando scrivevo me ne stavo disteso a letto nel caldo silenzio della notte di agosto… Ahh quanto amo l’estate, anzi quanto amo le notti d’estate! In estate, di notte si respira un aria diversa. Anche all’olfatto sembra differente… Infatti penso all’odore dell’estate della mia adolescenza, che rievoco nella mia testa ma che difficilmente potrò descrivere qui. Più bell’ancora il profumo estivo di quando piove… Mamma mia! Il ricordo che mi è saltato in mente scrivendo ha scaturito un riflesso condizionato come in uno dei cani di Pavlov… Vabbè… Torniamo al discorso principale. Avevo deciso di trascrivere il testo di ciò che descrissi, nel lontano settembre 1996, nella speranza di ricevere la telefonata della mia amata…

Squilla il telefono
mentre poesie e musica cercan di consolarmi
Squilla il telefono
mentre il mio cuore batte uno, due, tre volte
Squilla il telefono
vorrei che ci fossi tu a fianco a me
Squilla il telefono
triste è l’illusione di te dall’altra parte
Squilla il telefono
e rispondendo ogni speranza se ne va

Ora non squilla più
il mio cuore si ferma un po’
riprendendo come colpito da un pugnale
perchè è bello sperare
a ciò che non si realizzerà Mai

sono tornato 16enne

questa è l’unica spiegazione che mi do! Perchè dico questo? Semplice! Perchè a 16 anni provavo le stesse sensazioni! Invece di crescere sto retrocedendo… Già l’anno scorso ero tornato, con il mio stile di vita, un 18 enne, ora invece inizio a riprovare le sensazioni di un vero e proprio teen ager! Vivo aspettando un telefono che non deve suonare, riutilizzando quella mia tanta amata parola “utopia”. Ritorno masochista e gran pensatore, forse addirittura macchiavellico! Ricordo a 16 anni quel giorno che, seduto sul divano, aspettavo la telefonata della mia amata, telefonata che proprio non voleva arrivare. Sapevo che non sarebbe arrivata, ne avevo la certezza quasi matematica, ma, nell’irrazzionalità dell’amore, attendevo quello squillo… Il telefono non voleva proprio sentir ragione di suonare… Le lanciette di quel vecchio orologio scandivano ore e non secondi… Il telefono poi inizia a trillare. Il mio cuore si riaccende come se una scarica elettrica lo stesse percorrendo. Si illuminava di una triste gioia. Sembrava quasi esplodere! Il cuore ed il telefono suonavano all’unissono. Il mio corpo sembrava congelato, immobilizzato, quasi in preda al panico. Riuscivo poi a reagire, mi alzavo e, come una lumaca, mi avvicinavo all’apparecchio. La mia mano quasi tremava dalla paura di concretizzare quella falsa speranza. Mi facevo infine forza e distruggevo quell’inutile sogno che avevo creato.

Questo intervento non lo pubblico ora… ora sta per 26 luglio 2009, ore 19:11… Ci sono vari motivi per cui non lo pubblico, tra cui il fatto che non trovo il mio quaderninoooo!!! Voglio trascrivere il testo originale di quello che esternavo oramai 12 anni fa!

Libera la mente…

Tutto accadde in sereno pomeriggio di maggio. In una di quelle giornate che passeresti a passeggiare al sole, parlando e camminando per ore ed ore. Quel pomeriggio mi trovavo invece in casa. Ero così tremendamente sicuro che lei sarebbe venuta e continuavo a sistemare casa per renderla il più presentabile possibile. Continuavo a guardare tutti gli orologi perchè le quattro e mezza sembravano non arrivare mai. Quattro e venticinque, ventisei, ventisette… Più che una persona in attesa di un dolce evento sembravo essere un condannato a morte in ansia per la  propria esecuzione. Le quattro e mezza sembravano  non voler arrivare cosi decisi di andare a farmi una bella doccia, rinfrescando il mio corpo e cercando di perdere tempo. Sotto la doccia anche l’acqua cadeva al rallentatore. Era una congiura! Poi finalmente il telefono squillò! Mi affrettai ad uscire, bagnando mezza casa alla ricerca del cellulare. Risposi appena in tempo. “Sono nella tua via” disse lei con quella giovanissima voce. Non sapevo cosa replicare e per non restare ammutolito risposi con un ok. “A che numero stai, è mezz’ora che cerco di parcheggiare” aggiunse lei come per giustifcarsi. Nel frattempo la sentivo camminare e non capivo che parcheggio dovesse mai cercare. Non feci in tempo a rispondere che un’ultima domanda mi colse di sorpresa “Il 20? Sono qui di fronte, mi apri?”. Dissi solo “Ok, arrivo” e chiudendo il telefono mi fiondai in camera da letto ad infilarmi jeans e maglietta. Camminando con i pantaloni mezzi calati e quasi incianpando nel tragitto verso l’ingresso raggiunsi la porta. Entrò dentro casa come una bimba entra in classe il primo giorno di scuola. Con quel sorriso che le illuminava il viso e quei sue grandi occhioni verdi. “Ciao” fu tutto quello che disse. Io mi sentivo terribilmente impacciato ed a disagio poichè non indossavo neppure le scarpe. “Mi metto le scarpe ed andiamo?” dissi io per non evidenziare il mio desiderio di stare lì con lei. L’angioletto non rispose e continuava a guardarmi mentre calzavo le scarpe. Mi rialzai e mi ritrovai proprio faccia a faccia con lei. I nostri visi talmente vicini che riuscivo a sentire il suo respiro. Quei due occhioni si erano persi dentro i miei ed io non riuscivo a staccarmi. La baciai ovvero lei baciò me, non importa, non cambia nulla. Le nostre labbra si sfioravano smosse da una passione ingenua che scivolava come ghiacchio sui nostri corpi. I miei occhi si aprivano per qualche piccolo istante ritrovando i suoi ed abbandonandoci in quell’indocile danza. Eravamo in piedi proprio vicino all’uscita. La sua schiena poggiava per metà su quell’angolo, imprigionata come su una ragnatela. La desideravo più di ogni altra cosa al mondo e con una voce quasi tremolante le dissi “Andiamo di là?”. Di là poteva significare tutto e niente poichè era la prima volta che lei entrava a casa mia. Non sapeva che stanze c’erano  anche se quelle poche parole erano molto esplicite. Con un filo di voce e con un puro sorriso mi disse “Si”. La sollevai da terra, prendendola in braccio come una principessa e la portai nella mia camera. C’era poca luce ma riuscivo a vederla perfettamente. L’adagiai sul mio letto e mi stesi al suo fianco. Riniziammo a baciarci come due amanti da una vita. Baci che non avevano tempo, baci che non avevano età, baci che accendevano le nostre anime, infuocavano i nostri corpi. Le nostre mani esploravano freneticamente, desiderose di saziare i nostri istinti. I nostri vestiti sparirono e nudi uno sull’altro i nostri cuori battevano come un rullo di tamburi. Mi sentivo un adolescente, innamorato e desideroso, che realizza il proprio sogno. Facemmo l’amore. Forse era la prima volta che il sesso eveva senso per noi. Ed eccoci esausti e appagati del nostro amore. Un amore tutto nostro. L’amore che varcava ogni limite materiale. L’amore tanto desiderato e mai raggiunto. Osservavo la sua schiena, indorata dallo spiraglio di luce che perveniva da fuori. Percorrevo con le mie dita la sua pelle vellutata, disegnando strade e ponti, sfiorando i suoi fianchi per vederla ridere un po’. Il suo viso tutto ad un tratto s’incupì, preoccupato di quello che era accaduto o quello che stava accadendo. Le mie braccia non bastavano più a darle quella sicurezza che tanto desiderava e il suo cuore iniziava ad allontarsi dal mio. Non volevo lasciarlo scappare, ma neppure imprigionarlo del mio amore. La mia bocca si avvicnò al suo orecchio. La mia testa era vuota, senza ragione, senza paure. E’ in quei momenti che il cuore prende il sopravvento, mettendo in un angolo la razionalità. Con un filo di voce, leggermente sollevata da questa nuova emozione, uscirono queste parole “libera la mente, non pensare a niente. Ora sei qui con me”. Sentii il suo cuore riavvicinarsi al mio. Come un treno senza conducente e senza alcuna volontà di fermarsi accelerava la sua corsa. Mi strinse forte, mentre i suoi occhi luccicavano di una gioia immensa. La sua testa si abbandonava sul mio petto ubriacandomi col profumo dei suoi capelli. Non so quante ore passammo così! Il tempo non aveva più un senso, forse nulla più ne aveva. Vivevamo nell’egoismo spensierato del nostro amore. Come un quadro, che rendeva dipinti così da lì all’eternità.

Volare

Volare. Io ho una paura folle di volare e sono passati più di 6 anni da quando ho preso per l’ultima volta l’areo. Non so cosa mi spaventa, cosa mi preoccupa o suggestiona a tal punto di essere terrorizzato al sol pensiero che quell’enorme ammasso di metallo si sollevi da terra. Eppure volare da un senso di libertà enorme. Non sono mai riuscito a gettarmi da un aereo, anche se un tempo l’idea di fare il brevetto di paracadutista mi entusiasmava un sacco. Ho provato il bunjee jumping ed è stata un’esperienza fantastica. Sentirsi nel vuoto, leggeri… sembrava proprio di volare, o almeno credo. Non posso avere la certezza di cosa si provi a volare con le proprie forze, non sono un gabbiano. Eppure gli istanti passati tra il cielo e la terra sono istanti bellissimi di immensa libertà. Ho paura di volare? Eppure volo tutti i giorni, volo alla ricerca di correnti ascensionali giuste, volo cercando di andare sempre più in alto, ma finendo il più delle volte con l’andare in stallo e precipitare giù. Eh si, bisogna saper volare e forse un’intera vita non basta per affinare la tecnica. Volare non è affatto semplice, si incorre in una marea di vuoti d’aria, di tempeste, di uragani. Bisogna seguire gli spiragli di luce che tra il grigio ed il viola delle nuvole ci indicano la rotta per il cielo. Occorre molta forza e fermezza, soprattutto quando sei precipitato giù. Spiccare il volo da terra non è affatto semplice, necessità di una potente spinta e di una vera costanza. E poi, pian piano, si riprende quota, si rinizia a  planare, lasciando alle spalle le pianure già visitate, continuando a guardare l’orrizzonte e sperare.

ultimi 3 giorni…

Non so come iniziare questo intervento, ma ho una gran voglia di scrivere. Dopo tre sere consecutive passate a bere e “ballare” sento proprio il bisogno di scaricare un po’ di me stesso in queste poche righe. Sono da poco tornato a casa e per svariati motivi sono veramente stanco. Proprio per questa stanchezza non mi soffermerò su discorsi moralistici e non parlerò delle mie, talvolta singolari, visioni di vita. Voglio scrivere e basta! Scrivere mi fa star bene, libera la mia mente e le mie dita su questa tastiera corrono ininterrottamente narrando la mia prospettiva. Stasera, come nelle ultime due serate, ho bevuto un bel po’ abbandonando il mio corpo alla frivolezza delle illusioni del benessere. L’alcool modifica le nostre percezioni e accontenta il nostro io così come l’attività onirica seda il nostro subconscio. Sicuramente leva temporaneamente le nostre inibizioni e ci rende capaci di cose che nella nostra normalità non faremmo, ma restano sempre futili tentativi di realizzarci, di sentirci vivi. L’effetto prima o poi svanisce e le sensazioni, i problemi ed i nostri tormenti interiori restano sempre gli stessi… Ammetto, avversamente a quanto detto, che come necessitiamo di sognare per appagare i nostri desideri più profondi, abbiamo anche bisogno di sfogare la nostra indole ad occhi aperti.