Cuccioli

“Cucciolo dimmi cos’hai perché se piangi sto peggio di te e i tuoi problemi la sai sono i miei perché se piangi vuol dire che forse non piangi per me…”
Troppo belle queste parole di Masini… Lui si che è un poeta contemporaneo… e so cosa deve aver passato scrivendo questa canzone, forse perchè queste cose le ho passate anche io.
E’ brutto vedere la persona che ami che soffre, soprattutto se non soffre per te… ed è ancor più duro starle accanto. Solo una cosa può far farti certe cose. Questa cosa si chiama Amore… L’amore per una persona ti porta a gioire nel vederla felice e soffrire nel vederla triste. Dedicai questa canzone alla persona che amavo, perchè nonostante qualcosa tra di noi era scattato, non riuscivo ad avere il suo amore. Sapevo che il suo cuore era grande e che il suo amore prima o poi per me sarebbe arrivato, ma vederla distante e triste era come un pugnalata per me. Era difficile coccolarla, quando lei avrebbe voluto le coccole di qualcun altro. Era un’impresa darle le mie attenzioni, visto che lei non desiderava certo le mie. Anche i chilometri sopra chilometri fatti per vederla, passavano inosservati. Ma le mie gambe non sentivano stanchezza… Non mi stancavo di amarla, sperando che un giorno lei spalancasse gli occhi, o meglio il suo cuore. Come dice Paulo Coelho “Quando la porta della felicità si chiude, un’altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi”. Effettivamente lei continuava a fissare quella porta chiusa, senza guardare quella che io le stavo spalancando. Ma non demordevo. I miei sforzi, le mie parole, le mie sorprese, sarebbero poi stati premiati. Me lo sentivo che quel destino che ci aveva fatto incontrare avrebbe poi voltato a mio favore. Forse dovevo meritarmi il suo amore o forse dovevo guadagnarmelo per poi godermelo ancor di più. Lei poi era veramente un cucciolo. Un cucciolo da accudire, proteggere, coccolare e far crescere. L’impresa era ardua, ma non di certo impossibile. Avrei sorpassato ogni difficoltà pensando a quei due occhioni, avrei vinto ogni timore baciando quelle labbra, avrei sconfitto ogni paura abbracciandola a me. Aveva dentro di se una gioia immensa ed io gioivo per questo… Cosa non avrei fatto per quel cucciolo!

Peccato che i cuccioli prima o poi crescono, e… non sono più cuccioli. Ma voglio comunque portare il ricordo di quel cucciolo, che mi stringeva forte nei sottoportici mentre fuori pioveva. Quel cucciolo sognatore, dolce e coccolo. Quel cucciolo amante delle foto e mai stanco di amarmi. Quel cucciolo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me e che io avrei voluto seguire in ogni momento della mia vita. Quel cucciolo che avrebbe dato l’anima per stare ancora qualche minuto con me in quelle sere d’estate. Quel cucciolo con cui osservai per la prima volta le stelle, dopo aver fatto l’amore. Quel cucciolo che non vedeva l’ora di fare la nanna con me. Quel cucciolo che viveva per il mio amore e niente più. Quel cucciolo da cui magari avrei voluto un cucciolo. Quel cucciolo curioso e orgy (questa parola non la troverete mai in alcun vocabolario, e, anche se non sembra, non vuol dire nulla di volgare… anzi). Quel cucciolo che possedeva una passione immensa e che contava i minuti per vedermi. Un cucciolo insomma…

Spero che ognuno di voi pochi, che di tanto in tanto legge il mio blog, possa avere il suo cucciolo. Vi auguro di tutto cuore di poter assaporare le stesse gioie che io trascorsi con il mio.

Primo scritto

Non ricordo di preciso quando è partita in me la voglia di scrivere, però ricordo perfettamente il primo racconto che scrissi. Avevo 10/11 anni e facevo la quinta elementare. Per i primi anni di scuola avevo avuto una maestra “vecchia guardia”, molto precisa e severa. Ricordo benissimo che anche nella durata della ricreazione era molto fiscale. Anche quando arrivava la bella stagione io ed i miei compagni ci trovevamo a guardare con invidia gli alunni delle altre classi che continuavano a giocare sul prato anche a “campanella suonata”. Questa maestra ci aveva accompagnato però solo fino alla quarta, andandosene poi in pensione e lasciandoci per l’ultimo anno delle elementari ad un’altra. E’ passato un bel po’ di tempo, ma l’immagine dell’ingresso della nuova maestra in classe è nitida. Si chiamava (o meglio si chiama) Donatella, ed era molto più giovane della precedente. Se non sbaglio aveva 27 anni. Ricordo l’età in quanto ci fece scrivere sul libro del “Piccolo Principe”, che leggevamo in classe, di rileggerlo a 27 anni. Era una donna buonissima. L’unica cosa negativa che, essendo bambino, notavo era il fatto che fumava. Beh, da li a qualche anno avrei iniziato pure io a drogarmi di nicotina… La cosa più importante e significativa che quella donna mi ha trasmesso è stato l’imparare ad imprigionare le emozioni e le sensazioni su un foglio di carta. Era primavera e con tutta la classe ci trovevamo nel giardino interno della scuola. L’edificio era molto vicino al mare e nelle adiacenze non vi erano tanti complessi. Ci disse di chiudere gli occhi e cercare di trascrivere sul foglio le sensazioni provate con le rimanenti percezioni sensoriali. Sono passati quasi 20 anni, ma vi giuro che le mie narici respirano ancora quell’aria fresca e salmastra, la mia pelle sente ancora sul viso il calore del sole, sedato dalla brezza marina; le mie orecchie odono ancora il fruscio delle foglie altalenato dal canto dei gabbiani, melodicamente accompagnato da un sottofondo fatto di mare sugli scogli. Non ricordo sicuramente cosa scrissi, ma se ora ogni tanto ci provo è grazie a lei. Nel suo progetto di vederci scrittori, ci fece comporre un piccolo racconto fantastico. Un viaggio in una località a scelta era il tema da seguire. Io scelsi Parigi… Eh si, è da quando ho 10 anni che sogno di andare a Parigi. Conosco perfettamente i monumenti e le vie principali anche se purtroppo solo su carta… Beh, quello fu il mio primo “scritto”. Sembra inverosimile, ma avevo rimosso il fatto che il narrato parlava di una storia d’amore tra un mio “io” ed una parigina di nome Francoise…

Come è strano il mondo…

Perchè sto male?

Sto male perchè non posso incontrarti
Sto male perchè non posso parlarti
Sto male perchè non posso coccolarti
Sto male perchè non posso abbracciarti
Sto male perchè non posso accarezzare il tuo viso
Sto male perchè non posso baciarti
Sto male perchè non posso consolarti
Sto male perchè non posso aiutarti
Sto male perchè non posso toccarti
Sto male perchè non potrò più dormire con te
Sto male perchè non farò più foto con te
Sto male perchè non ti ho mai detto che volevo sposarti
Sto male perchè non avrò più la tua dolcezza, le tue coccole
Sto male perchè non potrò più fare l’amore con te
Sto male perchè non posso cambiare il passato
Sto male perchè sono impotente di fronte a tutta questa situazione
Sto male perchè ho fallito la mia missione
Sto male per tutto il male che ti ho fatto
Sto male per tutto quello che avrei dovuto fare e non ho fatto
Sto male perchè sono l’artefice del mio dolore
Sto male perchè non potrò più amarti e non riuscirò mai ad odiarti
Sto male perchè Ti Amo

Cosa hai combinato stavolta?

Era la fine di aprile. Quel giorno il sole splendeva alto nel cielo riscaldando l’aria ed esaltando i profumi di quella primavera. La bella stagione finalmente era arrivata ed ogni occasione era buona per uscire dalle mura di quell’ufficio. Avevo finito di lavorare, ma non so per quale motivo non me ne ero andato. Ero inconsapevole di quello che il destino aveva in riservo per me e passavo da una stanza all’altra chiaccherando del più e del meno con i colleghi che si trovavano lì. Ad un certo punto il mio sguardo passò in sala d’attesa. Vidi lei. Il viso mi era famigliare, anche se erano passati ben 3 anni da quando i nostri occhi si erano incrociati in quei corridoi. Era cresciuta, ma conservava ancora quel viso cucciolo. I suoi occhi emanavano la stessa lucentezza e mi davano una strana sensazione. Non sapevo che fare. Non potevo farmi sfuggire l’occasione di conoscerla e quindi mi fiondavi ad aprire la porta che mi separava da quella angelica visione. Per mia fortuna in sala d’attesa vi era un distributore di bevande e quindi quale miglior scusa che prendere una bottiglietta d’acqua? Facendo finta di nulla mi avvicinai. Inserendo la monetina nel distributore continuavo a guardarla nel dubbio che non fosse lei. Avevo un’enorme paura di sbagliarmi! Lei continuava a stare seduta inibita dai miei occhi bramosi di conoscerla. Non sapevo che dire, ma volevo trovare una frase per improntare un approccio. “Cosa hai combinato stavolta?” dissi io ripensando sin da subito alle parole che avevo scelto. “Cosa?” disse lei quasi infastidita dalla domanda. “Volevo sapere come mai sei qui…” aggiunsi io ritrattando quello che avevo detto. Mi sentivo molto in imbarazzo ma allo stesso tempo soddisfatto di aver almeno ricevuto una risposta. Beh, si, poteva trattarsi di una risposta data per educazione ma avevo una strana sensazione. Sentivo circolare dentro le mie vene un qualcosa. Cominciammo così a parlare. Pochi minuti che sembravano ore. Mi spiegò cosa era successo e come mai si trovava lì. Non aveva importanza… le mie orecchie quasi non udivano, frastornate come quando un botto ti scoppia vicino. La salutai dandole confidenza, come se la conoscessi da molto, moltissimo tempo. Con parole quasi paternali poi me ne andai. Quell’incontro mi aveva segnato e non facevo altro che pensare a quegli istanti, seppur insignificanti, che avevo passato con lei. Quel pomeriggio lo passai passeggiando per il centro, osservando in modo differente qualsiasi cosa incontrassi. Anche quella fontana, che potevo aver visto centinaia, migliaia di volte era strana. Continuando il cammino osservavo come i getti d’acqua seguivano in modo armonioso i passi del mio cuore. Arrivai a destinazione. Ero arrivato alla gelateria. Sono un vero goloso e pertanto un gelataio non può che essere un mio amico. Come di consueto cominciammo a parlare delle più disparate cose; tra gli argomenti vi era però anche lei… “Sai, una ragazza che lavora per me è venuta in ufficio da te oggi”, disse il mio amico, esternando qualche preoccupazione per l’evento. “Cosa?!?!” risposi quasi incredulo. Palpitavo di gioia! “Ma chi, o meglio come si chiama questa ragazza?” aggiunsi mangiandomi mezze parole. Il gelataio rispose pronunciando il suo nome ed un sorriso si stampò sul mio viso. Era un sorriso di conferma, di speranza, di prospettiva. “Perchè sorridi?” disse lui guardandomi esterefatto. “Niente” dissi io scendendo dalle nuvole “la ho appena incontrata…”. “Molto bene…” aggiunsi progettando dentro di me come reincontrarla “quindi vuol dire che sai dirmi quando la posso trovare qui in gelateria”. Forse ero stato un po’ troppo esplicito, ma il mio desiderio era irrefrenabile. Volevo proprio rivederla e quella notizia non era altro che un portone enorme che si stava spalancando. “Non ti dirò mai quando la puoi trovare” disse il mio amico, trasmettendo una esplicita ironia dai suoi occhi. “Eddai, su, che ti costa” risposi io, in modo infantile, come quando, da bimbi, la mamma ci nega un capriccio. “No, no, non contare su di me” aggiunse lui prendendo posizione, ma sempre con fare ironico. Ci rinunciai, o meglio feci finta, cambiando discorso e parlando di tutt’altro, anche se era palese che volevo raggiungere il mio scopo. Mi sedetti quindi su una panchina, posta dinanzi alla gelateria, continuando la parte di bimbo cocciuto. Osservavo coppie di adolescenti passeggiare mano nella mano, nello splendore dei loro primi amori. Alla mente saltavano i ricordi più strani del mio passato illudendomi che potevo vivere ancora quelle sensazioni. Ero ignaro di ciò che il destino aveva in serbo per me e che m’avrebbe fatto provare da lì ad un mese. Ero contento. Contento di nulla, ma che stava già significando tutto. Mi alzai e scambiai altre due chiacchere, mentre il mio amico non riusciva a togliersi dal viso un’espressione strana, tipo di uno che te l’ha appena combinata o te la sta per combinare. Non volevo essere pesante e non gli feci nuovamente la domanda, pensando di riproporgliela l’indomani. Semplicemente lo salutai. Stavo allontanandomi quando lui mi richiamò. Mi voltai. “Martedì alle quattro…” disse lui riaprendo quel portone che si era socchiuso. Soltanto con un sorriso ringraziai il per me prezioso gesto di un amico.