Cosa hai combinato stavolta?

Era la fine di aprile. Quel giorno il sole splendeva alto nel cielo riscaldando l’aria ed esaltando i profumi di quella primavera. La bella stagione finalmente era arrivata ed ogni occasione era buona per uscire dalle mura di quell’ufficio. Avevo finito di lavorare, ma non so per quale motivo non me ne ero andato. Ero inconsapevole di quello che il destino aveva in riservo per me e passavo da una stanza all’altra chiaccherando del più e del meno con i colleghi che si trovavano lì. Ad un certo punto il mio sguardo passò in sala d’attesa. Vidi lei. Il viso mi era famigliare, anche se erano passati ben 3 anni da quando i nostri occhi si erano incrociati in quei corridoi. Era cresciuta, ma conservava ancora quel viso cucciolo. I suoi occhi emanavano la stessa lucentezza e mi davano una strana sensazione. Non sapevo che fare. Non potevo farmi sfuggire l’occasione di conoscerla e quindi mi fiondavi ad aprire la porta che mi separava da quella angelica visione. Per mia fortuna in sala d’attesa vi era un distributore di bevande e quindi quale miglior scusa che prendere una bottiglietta d’acqua? Facendo finta di nulla mi avvicinai. Inserendo la monetina nel distributore continuavo a guardarla nel dubbio che non fosse lei. Avevo un’enorme paura di sbagliarmi! Lei continuava a stare seduta inibita dai miei occhi bramosi di conoscerla. Non sapevo che dire, ma volevo trovare una frase per improntare un approccio. “Cosa hai combinato stavolta?” dissi io ripensando sin da subito alle parole che avevo scelto. “Cosa?” disse lei quasi infastidita dalla domanda. “Volevo sapere come mai sei qui…” aggiunsi io ritrattando quello che avevo detto. Mi sentivo molto in imbarazzo ma allo stesso tempo soddisfatto di aver almeno ricevuto una risposta. Beh, si, poteva trattarsi di una risposta data per educazione ma avevo una strana sensazione. Sentivo circolare dentro le mie vene un qualcosa. Cominciammo così a parlare. Pochi minuti che sembravano ore. Mi spiegò cosa era successo e come mai si trovava lì. Non aveva importanza… le mie orecchie quasi non udivano, frastornate come quando un botto ti scoppia vicino. La salutai dandole confidenza, come se la conoscessi da molto, moltissimo tempo. Con parole quasi paternali poi me ne andai. Quell’incontro mi aveva segnato e non facevo altro che pensare a quegli istanti, seppur insignificanti, che avevo passato con lei. Quel pomeriggio lo passai passeggiando per il centro, osservando in modo differente qualsiasi cosa incontrassi. Anche quella fontana, che potevo aver visto centinaia, migliaia di volte era strana. Continuando il cammino osservavo come i getti d’acqua seguivano in modo armonioso i passi del mio cuore. Arrivai a destinazione. Ero arrivato alla gelateria. Sono un vero goloso e pertanto un gelataio non può che essere un mio amico. Come di consueto cominciammo a parlare delle più disparate cose; tra gli argomenti vi era però anche lei… “Sai, una ragazza che lavora per me è venuta in ufficio da te oggi”, disse il mio amico, esternando qualche preoccupazione per l’evento. “Cosa?!?!” risposi quasi incredulo. Palpitavo di gioia! “Ma chi, o meglio come si chiama questa ragazza?” aggiunsi mangiandomi mezze parole. Il gelataio rispose pronunciando il suo nome ed un sorriso si stampò sul mio viso. Era un sorriso di conferma, di speranza, di prospettiva. “Perchè sorridi?” disse lui guardandomi esterefatto. “Niente” dissi io scendendo dalle nuvole “la ho appena incontrata…”. “Molto bene…” aggiunsi progettando dentro di me come reincontrarla “quindi vuol dire che sai dirmi quando la posso trovare qui in gelateria”. Forse ero stato un po’ troppo esplicito, ma il mio desiderio era irrefrenabile. Volevo proprio rivederla e quella notizia non era altro che un portone enorme che si stava spalancando. “Non ti dirò mai quando la puoi trovare” disse il mio amico, trasmettendo una esplicita ironia dai suoi occhi. “Eddai, su, che ti costa” risposi io, in modo infantile, come quando, da bimbi, la mamma ci nega un capriccio. “No, no, non contare su di me” aggiunse lui prendendo posizione, ma sempre con fare ironico. Ci rinunciai, o meglio feci finta, cambiando discorso e parlando di tutt’altro, anche se era palese che volevo raggiungere il mio scopo. Mi sedetti quindi su una panchina, posta dinanzi alla gelateria, continuando la parte di bimbo cocciuto. Osservavo coppie di adolescenti passeggiare mano nella mano, nello splendore dei loro primi amori. Alla mente saltavano i ricordi più strani del mio passato illudendomi che potevo vivere ancora quelle sensazioni. Ero ignaro di ciò che il destino aveva in serbo per me e che m’avrebbe fatto provare da lì ad un mese. Ero contento. Contento di nulla, ma che stava già significando tutto. Mi alzai e scambiai altre due chiacchere, mentre il mio amico non riusciva a togliersi dal viso un’espressione strana, tipo di uno che te l’ha appena combinata o te la sta per combinare. Non volevo essere pesante e non gli feci nuovamente la domanda, pensando di riproporgliela l’indomani. Semplicemente lo salutai. Stavo allontanandomi quando lui mi richiamò. Mi voltai. “Martedì alle quattro…” disse lui riaprendo quel portone che si era socchiuso. Soltanto con un sorriso ringraziai il per me prezioso gesto di un amico.

Libera la mente…

Tutto accadde in sereno pomeriggio di maggio. In una di quelle giornate che passeresti a passeggiare al sole, parlando e camminando per ore ed ore. Quel pomeriggio mi trovavo invece in casa. Ero così tremendamente sicuro che lei sarebbe venuta e continuavo a sistemare casa per renderla il più presentabile possibile. Continuavo a guardare tutti gli orologi perchè le quattro e mezza sembravano non arrivare mai. Quattro e venticinque, ventisei, ventisette… Più che una persona in attesa di un dolce evento sembravo essere un condannato a morte in ansia per la  propria esecuzione. Le quattro e mezza sembravano  non voler arrivare cosi decisi di andare a farmi una bella doccia, rinfrescando il mio corpo e cercando di perdere tempo. Sotto la doccia anche l’acqua cadeva al rallentatore. Era una congiura! Poi finalmente il telefono squillò! Mi affrettai ad uscire, bagnando mezza casa alla ricerca del cellulare. Risposi appena in tempo. “Sono nella tua via” disse lei con quella giovanissima voce. Non sapevo cosa replicare e per non restare ammutolito risposi con un ok. “A che numero stai, è mezz’ora che cerco di parcheggiare” aggiunse lei come per giustifcarsi. Nel frattempo la sentivo camminare e non capivo che parcheggio dovesse mai cercare. Non feci in tempo a rispondere che un’ultima domanda mi colse di sorpresa “Il 20? Sono qui di fronte, mi apri?”. Dissi solo “Ok, arrivo” e chiudendo il telefono mi fiondai in camera da letto ad infilarmi jeans e maglietta. Camminando con i pantaloni mezzi calati e quasi incianpando nel tragitto verso l’ingresso raggiunsi la porta. Entrò dentro casa come una bimba entra in classe il primo giorno di scuola. Con quel sorriso che le illuminava il viso e quei sue grandi occhioni verdi. “Ciao” fu tutto quello che disse. Io mi sentivo terribilmente impacciato ed a disagio poichè non indossavo neppure le scarpe. “Mi metto le scarpe ed andiamo?” dissi io per non evidenziare il mio desiderio di stare lì con lei. L’angioletto non rispose e continuava a guardarmi mentre calzavo le scarpe. Mi rialzai e mi ritrovai proprio faccia a faccia con lei. I nostri visi talmente vicini che riuscivo a sentire il suo respiro. Quei due occhioni si erano persi dentro i miei ed io non riuscivo a staccarmi. La baciai ovvero lei baciò me, non importa, non cambia nulla. Le nostre labbra si sfioravano smosse da una passione ingenua che scivolava come ghiacchio sui nostri corpi. I miei occhi si aprivano per qualche piccolo istante ritrovando i suoi ed abbandonandoci in quell’indocile danza. Eravamo in piedi proprio vicino all’uscita. La sua schiena poggiava per metà su quell’angolo, imprigionata come su una ragnatela. La desideravo più di ogni altra cosa al mondo e con una voce quasi tremolante le dissi “Andiamo di là?”. Di là poteva significare tutto e niente poichè era la prima volta che lei entrava a casa mia. Non sapeva che stanze c’erano  anche se quelle poche parole erano molto esplicite. Con un filo di voce e con un puro sorriso mi disse “Si”. La sollevai da terra, prendendola in braccio come una principessa e la portai nella mia camera. C’era poca luce ma riuscivo a vederla perfettamente. L’adagiai sul mio letto e mi stesi al suo fianco. Riniziammo a baciarci come due amanti da una vita. Baci che non avevano tempo, baci che non avevano età, baci che accendevano le nostre anime, infuocavano i nostri corpi. Le nostre mani esploravano freneticamente, desiderose di saziare i nostri istinti. I nostri vestiti sparirono e nudi uno sull’altro i nostri cuori battevano come un rullo di tamburi. Mi sentivo un adolescente, innamorato e desideroso, che realizza il proprio sogno. Facemmo l’amore. Forse era la prima volta che il sesso eveva senso per noi. Ed eccoci esausti e appagati del nostro amore. Un amore tutto nostro. L’amore che varcava ogni limite materiale. L’amore tanto desiderato e mai raggiunto. Osservavo la sua schiena, indorata dallo spiraglio di luce che perveniva da fuori. Percorrevo con le mie dita la sua pelle vellutata, disegnando strade e ponti, sfiorando i suoi fianchi per vederla ridere un po’. Il suo viso tutto ad un tratto s’incupì, preoccupato di quello che era accaduto o quello che stava accadendo. Le mie braccia non bastavano più a darle quella sicurezza che tanto desiderava e il suo cuore iniziava ad allontarsi dal mio. Non volevo lasciarlo scappare, ma neppure imprigionarlo del mio amore. La mia bocca si avvicnò al suo orecchio. La mia testa era vuota, senza ragione, senza paure. E’ in quei momenti che il cuore prende il sopravvento, mettendo in un angolo la razionalità. Con un filo di voce, leggermente sollevata da questa nuova emozione, uscirono queste parole “libera la mente, non pensare a niente. Ora sei qui con me”. Sentii il suo cuore riavvicinarsi al mio. Come un treno senza conducente e senza alcuna volontà di fermarsi accelerava la sua corsa. Mi strinse forte, mentre i suoi occhi luccicavano di una gioia immensa. La sua testa si abbandonava sul mio petto ubriacandomi col profumo dei suoi capelli. Non so quante ore passammo così! Il tempo non aveva più un senso, forse nulla più ne aveva. Vivevamo nell’egoismo spensierato del nostro amore. Come un quadro, che rendeva dipinti così da lì all’eternità.